Tuesday, April 08, 2008

LE OLIMPIADI DI PECHINO E LA REPRESSIONE NEL TIBET

Tensioni, proteste, tafferugli in nome del Tibet libero stanno accompagnando il cammino della fiaccola dello spirito olimpico. Gli agenti di Scotland Yard a Londra hanno tratto in arresto 35 manifestanti. Anche a Parigi e Roma ci saranno, al passaggio del tedoforo, manifestazioni pacifiche contro la repressione dei diritti umani in Cina e la repressione in Tibet. Il montare di queste manifestazioni sta mettendo a disagio parecchi governi del mondo occidentale. Il primo a sentire la contraddizione tra un raduno mondiale di giovani atleti che gareggeranno in nome degli ideali di fraternità e libertà e la feroce repressione del regime di Hu Jintao contro i giovani e i monaci tibetani, che richiama quella di piazza Tienanmen, è stato Nicolas Sarkozy. Ad agosto, quando si svolgeranno i giochi olimpici di Pechino, egli sarà a capo dell’Ue. Avrà la forza e il coraggio di portare tutti gli stati membri dell’Unione su una linea, sia pure simbolica, di disapprovazione dell’azione autoritaria di Pechino nei confronti dei patrioti tibetani e dei dissidenti interni? Nel 2001 il governo di Pechino assunse con il CIO, il Comitato Olimpico Internazionale, precisi impegni di liberalizzazioni e di salvaguardia dei diritti umani. Non solo nel frattempo non ha fatto nulla per il rispetto dei diritti ma sta soffocando nel sangue la protesta di un popolo mite e fiero che lotta per la salvezza della propria identità culturale e per l'autonomia politica (si badi: non indipendenza).Occorrerebbe un segnale politico forte da parte dei governanti dei paesi partecipanti ai giochi. Non il boicottaggio dell'Olimpiade: sarebbe assurdo così a ridosso della data dei giochi. Migliaia di atleti in tutto il mondo si sono preparati per anni per l'appuntamento delle Olimpiadi. Essi hanno il sacrosanto diritto di gareggiare e di conquistare le glorie sportive che meritano. Il gesto clamoroso, ma nello stesso tempo rispettoso del pieno svolgimento dei giochi, richiesto dall'opinione pubblica di mezzo mondo, rimane la non partecipazione dei capi di stato e di governo alla cerimonia di inaugurazione. Il Governo di Pechino è molto sensibile su questo versante. Ha il timore di essere isolato. Bisognerebbe mettere in seconda linea, per un momento, gli affari e minacciare, ed eventualmente attuare, con decisione questo gesto simbolico, di grande valore politico, soprattutto per i giovani. Ma i governi europei stanno zitti, Sarkosy tentenna: un po' dice che non andrà alla cerimonia, un po', addirittura, pone delle condizioni per assicurare la sua presenza, salvo far smentire tutto subito dopo. Su George Buhs non c'è da contare per niente. Figuriamoci se dà peso a queste quisquilie, i diritti umani e quelli delle minoranze, pur difesi da lui stesso a parole in ogni occasione. Sarà trionfalmente presente e, c'è da scommettere, firmerà pure contratti per miliardi di dollari. Ma Sarkosy no, egli è il capo della nazione che ha compiuto la rivoluzione su cui si fonda per buona parte la civiltà del mondo occidentale. Ha il dovere di ricordare al mondo i valori di democrazia e di libertà e di trascinare dietro di sé le altre nazioni, anche nella sua prossima veste di capo temporaneo dell'Ue. Non parliamo del Governo italiano: in pratica esiste quasi di nome, nel periodo di ordinaria amministrazione. Una sua mossa sarebbe subissata da montagne di demagogia nel nome degli affari con la Cina. Infine un auspicio: il CIO non si cacci mai più in situazioni di questo genere: il sangue versato dagli innocenti è incompatibile con lo spirito olimpico. Mai più Olimpiadi in paesi privi di democrazia e di libertà.

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