Friday, February 16, 2007

CON PHLIP ROTH SENZA RITORNO

Il messo Morte avvisa "Ognuno" che dovrà partire, subito.

Quando era ragazzo nella bottega del padre piccolo gioielliere ebreo del New Jersey, il protagonista dell’ultimo romanzo di Philip Roth era affascinato dagli orologi. Crescendo, volle dedicarsi a un’attività che gli consentisse di creare qualcosa di concreto con le mani, e sentendosi portato alla pittura, ma essendo al contempo troppo prudente per fare l’artista, si dedicò alla grafica pubblicitaria. Il suo mito, derivato dal genitore, era stato lo Hamilton, «il più importante orologio di fabbricazione americana, nessuno escluso», prodotto a Lancaster, Pennsylvania: settantanove dollari e cinquanta, e mai un errore. Lo Hamilton, che non pretende di spiegare il tempo ma che orgogliosamente si pone l’obiettivo di misurarlo in modo impeccabile, è la perfetta metafora di questo libro allegorico fin dal titolo.Everyman, «ognuno», è naturalmente l’uomo qualunque che nell’antica moralità non si sa se inglese o olandese (i testi nelle due lingue, identici, sono coevi), celebre comunque nella versione tedesca «Jedermann» ogni anno in scena a Salisburgo, si sente annunciare da un messo a nome Morte che dovrà partire, subito, per un viaggio senza ritorno, e incontra grandi difficoltà a trovare chi sia disposto ad accompagnarlo. Bellezza, Forza, Ragione, lo abbandonano come Ricchezza, Parentela ecc.: solo Buone Opere resta al suo fianco fino all’ultimo, e con l’aiuto di Misericordia Divina riesce a ottenergli il perdono. Come in tutta l’arte medievale, l’insegnamento astratto è porto con un grande realismo dei particolari, e i dialoghi del protagonista con gli amici che si defilano sono vivacissimi.Altrettanto realistico è Philip Roth nel racconto del trapasso del suo personaggio, anche se, a differenza dell’autore anonimo, non ha una morale da offrire - può solo presentare i fatti con tutta l’obiettività possibile, nonché, beninteso, con una magistrale padronanza del proprio mezzo espressivo. La storia comincia col funerale del protagonista, del quale non apprenderemo mai il nome - che ci rendiamo conto di ciò solo a cose fatte è già una prova di grande virtuosismo dello scrittore, in inglese parlare con naturalezza di qualcuno o con qualcuno senza nominarlo è quasi impossibile -, funerale al quale partecipano elementi di famiglie delle quali costui ha fatto parte ma dalle quali si era estraniato. Dai brevi elogi funebri cominciamo ad apprendere su di lui dettagli che in seguito squarci di rievocazioni amplieranno: infanzia e adolescenza in un piccolo centro; tirocinio nel mestiere paterno; carriera professionale di qualche soddisfazione; confuse aspirazioni verso un miglior contatto con la natura sfogate solo in certe lunghe nuotate quotidiane; una vampata di sensualità intorno ai cinquant’anni - torridi accoppiamenti con una segretaria; tre mogli molto diverse tra loro, di cui l’ultima, una svedese troppo giovane e molto sexy, causa del fallimento del secondo matrimonio, si rivela disastrosamente inadeguata quando in anticipo sulle proprie aspettative, ossia avendo da poco passato i sessantacinque anni, il nostro eroe comincia ad avere problemi circolatori e quindi a subire frequenti interventi chirurgici.
UN UOMO QUALUNQUE
Nella parabola di questo uomo qualunque che si interroga sul perché gli stia accadendo quello che gli accade, parabola e uomo che per qualche verso possono richiamare un altro grande archetipo ebraico-americano, Morte di un commesso viaggiatore, Roth intesse molti simboli che agiscono sul lettore a livello subliminale. La parola Everyman, per esempio, è nell’insegna della bottega di gioielliere dove la storia ha inizio; e verso il finale, dopo aver casualmente citato la tragedia, il protagonista come Amleto, ossia l’Ognuno dei tempi moderni, entra in un cimitero e dialoga con un becchino che sta scavando la fossa e che gli fa volentieri la descrizione della propria attività. Qui campeggia la tipica, irresistibile attenzione di Roth per il fatto tecnico che già gli dettò pagine memorabili, vedi la lavorazione dei guanti nel suo capolavoro Pastorale americana. La presenza nelle ultime pagine di questo cordiale Caronte negro (che almeno a me richiama il finale di un’altra commedia di Miller, Giù dal Monte Morgan, dove tale funzione è svolta da un’infermiera di colore) introduce nell’apologo una nota di accettazione forse non lontana dalla serenità.
Masolino D'Amico, La Stampa

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