Friday, February 16, 2007

"EVERYMAN", la vita a perdere secondo Phlip Roth

C'è un passaggio del libro, più o meno alla fine che è forse il punto d'arrivo della tristezza senza illusioni dell'ultimo libro di Philip Roth, Everyman (tr. it. V. Montanari, Einaudi, 13,50 euro): "Mio Dio, che uomo ero una volta! Che vita avevo intorno! Che forza avevo dentro! Una volta ero completo: ero un essere umano". Un uomo invecchiato, sopravvissuto a sei o sette interventi chirurgici, tre matrimoni, due figli che non lo hanno mai perdonato. Imballato dal senso di colpa nel vedere la fatica che fa la figlia, separata con una bambina, a tirare avanti. Che ha sepolto padre e madre, una moglie da cui era separato, un'allieva promettente e piena di vita. Che ha vissuto a New York e poi è fuggito per paura degli attentati sentendosi ancora inadeguato per questa sua vocazione alla sopravvivenza e che importa se gli altri rimangono là? Un uomo che ha tradito la moglie e, scoperto, ha sposato l'amante perché sembrava la cosa giusta. Che vede il suo corpo andare in malora, i vecchi amici con i quali era partito alla conquista del mondo ingrassare e spegnersi, che si eccita per una ragazza che fa jogging sulla spiaggia ma non riesce a trovare le parole giuste per far dimenticare il suo aspetto. Un uomo che tira un bilancio. E nessun conto torna. Una figura familiare. Questo libro è vivamente sconsigliato a chi attraversa una fase bassa della vita.
Dario Olivero, Google news

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