Tuesday, May 29, 2007

LA VIA PER L'EMANCIPAZIONE DALL'OPPRESSIONE MAFIOSA

Il sindaco di Trabia Salvatore Piazza, in risposta a due giovani che discutevano sul fenomeno mafioso, ha pubblicato una specie di 'lectio magistralis' per coloro che hanno a cuore le sorti di quel paese. Nel momento drammatico in cui dovranno prendersi decisioni che, nel bene o nel male, incideranno sull'avvenire di Trabia per i prossimi trent'anni (il piano regolatore è lì, sul tavolo delle emergenze, iscritto all'ordine del giorno della vita civile e politica del paese) le parole del sindaco assumono un enorme valore morale e politico; esse indicano una via di libertà e di coraggio nell'oscuro groviglio di interessi in conflitto con le esigenze di emancipazione della comunità. Sappiamo che non bastano; non vengono assorbite, rimbalzano sul freddo marmo della inconsapevolezza e dell'indifferenza. Eppure sono un segno di cambiamento, non si potranno ignorare. Avranno eco nelle coscienze delle nuove generazioni? Ecco la lettera:"“”La formula coniata da G. Battista Vico dei “corsi e ricorsi storici”, credo, che ritorni di attualità anche oggi.

Leggendo affermazioni pronunziate da giovani di questo tempo che “la mafia a Trabia non esiste”, mi riporta alla memoria l’analogo episodio e la identica affermazione pronunciata nel giugno 1987, in occasione delle elezioni politiche, nel salone dell’Hotel delle Terme di Termini Imerese di fronte ad una platea di elettori ed alla presenza del Ministro degli Interni dell’epoca.

Un illustre senatore della Repubblica, rivolgendo il suo saluto al Ministro diceva testualmente “Signor Ministro sappi che in questo territorio la mafia non esiste”, provocando fra i presenti un silenzio assoluto e facilmente comprensibile per la “mostruosità” della dichiarazione.

Infatti gli avvenimenti successivi a quell’evento smentivano categoricamente tale infausta affermazione e, di lì a poco, determinarono riflessi negativi sull’intero territorio termitano e madonita e persino nel nostro stesso paese. Il tentativo – ancor più grave se viene compiuto da giovani – di voler negare l’esistenza del fenomeno mafioso, riducendolo a semplice “demagogia”, o ad “affariceddi”di una parte politica è abbastanza ridicolo, facendoci dubitare sulla intelligenza e sulla buona fede degli autori.

L’annosa verità, purtroppo, è che “la mafia a Trabia esiste ancora”. Non è più la mafia che affermava il suo potere con la forza delle armi; è cambiata, si è aggiornata nei modi e nella sostanza, utilizzando metodologie diverse, più sofisticate che, talvolta, eludono la stessa legge, ma quasi sempre, prima o poi, finiscono per incappare nelle maglie della giustizia. Và, certamente, dato atto alle forze dell’ordine ed alla magistratura di avere intensificato l’opera di bonifica del territorio e la cattura dei boss di maggior calibro, ma è indubbio che in circolazione sono rimasti i cosiddetti “Bossolotti”, figli ed eredi di quella razza pericolosa e prepotente. Nella realtà trabiese e più in generale in quella siciliana, purtroppo, la mafia prospera tuttora. Spesso anche noi, forse inconsapevolmente con i nostri comportamenti ne diventiamo complici: ora con il silenzio, ora alzando il tono della voce al di sopra della tolleranza, talvolta, anche, “alzando le mani” per affermare le nostre opinioni, violando in tal modo le regole del vivere civile, del dialogo e del confronto rispettoso verso il nostro interlocutore.

Purtroppo anche questi comportamenti sono assimilabili alla cultura mafiosa.

I giovani, se vogliono diversificarsi dal passato ed essere costruttori di un mondo nuovo e diverso, devono assumere comportamenti coerenti per dimostrare la loro correttezza sul piano legale e morale, condannare ogni forma di arroganza e di prepotenza che si annida nel corpo sociale, conquistare la piena libertà di espressione per manifestare le proprie idee, ma nel rispetto dei diritti di ciascuno, secondo le regole legali che disciplinano l’organizzazione di una civile convivenza democratica.

Salvatore Piazza"""

da www.trabiaplanet.it



A.C.

Monday, May 28, 2007

I CARRISTI DEL CARNEVALE, UNA CASTA DI INTOCCABILI?

Non posso credere che il direttivo dei carristi, scrivendo la lettera pubblicata su viareggiok.it, rappresenti lo stato d’animo della totalità degli iscritti. Non mi sembra possibile. Un vero artista non può trasudare iattanza da ogni parola che scrive, anche se stimolato da una spirito polemico fuori misura. A parte il facile giudizio che può pronunciarsi su una esternazione di questo tenore, c’è da riflettere se la politica e la Città debbano continuare per l’eternità a favorire la formazione e la perpetuazione di una vera e propria casta di intoccabili, nella convinzione dell’inesistenza di ogni possibile ricambio. Se c’è un mondo dove la libertà ha vero diritto di cittadinanza si può dire con tranquillità che quello dell’arte sta al primo posto. Nel Carnevale di Viareggio non esiste alcuno spazio per il libero dispiegarsi dei talenti e delle genialità inerenti alle creatività carnevalesche. Gli ingressi sono spietatamente sbarrati. Bisogna finalmente entrare nell’ordine di idee di creare, con lungimiranza, le condizioni che permettano una selezione rigorosa del personale artistico deputato alle costruzione di carri all’altezza della grande tradizione viareggina. Per far ciò si pone la necessità della creazione di una scuola, da affidare ad insegnanti indipendenti dotati di grande esperienza e creativività, e dell’istituzione di un meccanismo di valutazone e di selezione degli artisti costruttori di carri per il quale nessuno possa arrogarsi il diritto di sbeffeggiare i critici e ostentare sicumera e strombazzare sferzanti giudizi su osservazioni e obiezioni provenienti dal popolo degli appassionati del Carnevale o da un qualsiasi cittadino.
Antonio Carollo

Saturday, May 26, 2007

23 MAGGIO, IL SACRIFICIO DI GIOVANNI FALCONE. LA LETTERA DI UN RAGAZZO DI TRABIA

Mi permetto di pubblicare una lettera di un altro giovane trabiese indirizzata a me e a certi suoi amici. Il giovane prende spunto dall'incontro a Palermo dei giovani di tutta Italia con le autorità nazionali, in particolare dallo scambio di battute tra il diciannovenne Francesco Cipriano e il ministro Amato, il 23 maggio, anniversario del barbaro assassinio di Giovanni Falcone e dalle celebrazioni fatte da tanti consigli comunali dell'Isola. Abbiamo letto con quale supponenza, (offendendo, anche) Giuliano Amato abbia risposto a Francesco che con forza rilevava l'insufficienza dell'azione della politica nei confronti della mafia. Questo episodio riveste un grande significato civile perché testimonia l'assoluta libertà di pensiero e di espressione di un giovane in un ambiente di cupo condizionamento psicologico.

Tornando al ragazzo di Trabia sono convinto che se glielo avessi chiesto mi avrebbe autorizzato a pubblicare anche il suo nome. Una tale richiesta però sarebbe stata ingiusta. In una terra di antiche dipendenze e coercizioni il processo di liberazione della piena libertà di espressione ho la sensazione che sia ancora faticosamente in marcia. Credo che il meccanismo dell'autocensura funzioni ancora molto tra gli adulti e le persone già mature: è un retaggio di sottomissioni (nessuno di noi ne è del tutto esente) che alla fine si traduce nella perpetuazione di un miserevole stato di latente illegalità e sopraffazione. A fare da contrappeso a questa deficienza di espressione spesso viene fuori il fiume, o il ruscelletto, della retorica più o meno camuffata da accenti forti di sicuro effetto emotivo, accompagnato dall'atavico vezzo di spaccare il capello in quattro. In occasioni come questa del 23 maggio si ha la visione plastica della verità di questa antica contraddizione che, vuoi o non vuoi, ci portiamo dietro ed inevitabilmente trasmettiamo alle nuove generazioni. Schiere di consiglieri declamano e si commuovono fino alle lacrime nel rievocare l'orribile assassinio di un uomo divenuto eroe perché pretendeva di fare bene il suo lavoro. Se occorre muovere un dito per cercare di costruire una società più giusta e solidale, senza mafia e senza marciume politico, come voluta da Falcone, si crea immediatamente un vuoto pneumatico che inghiotte tutte le belle intenzioni e le maliose bellezze delle frasi ad effetto.



Ecco la lettera del ragazzo di Trabia:



“Sicuramente è bello che per ogni 23 maggio si ricordi Falcone, ma è molto triste pensare che serve un 23 maggio, e tante altre simili ricorrenze, per ricordare i caduti per mano mafiosa; che serve un 23 maggio per dare luce alla Sicilia; associando il suo nome con quello di mafia; che serve un 23 maggio per assistere attoniti ed impotenti all'ipocrisia della politica, che si ricorda di commemorare, ma soprattutto non dimentica il suo bacino elettorale mafioso, dal quale attinge per i vari eventi elettorali, a suo piacimento; che serve un 23 maggio per ricordarsi del degrado della sanità siciliana, della situazione rifiuti, della precarietà e quant'altro.

Spesso il popolo siciliano si indigna di cose molto futili, come i pettegolezzi da cortile o da bar, ma non riesce ad indignarsi davanti ad una politica collusa, un clientelismo diffuso (direi istituzionalizzato), una burocrazia che fa tutto tranne che un sevizio pubblico, e tante altre cose che in una comunità civile, quale è uno Stato di diritto, l'indignazione sarebbe una reazione minima a tutto ciò. Che Guevara diceva : "Il miglior modo per dire é fare".Mi sorge d'istinto una domanda, ma se da noi manca anche il dire? A te la risposta... A te cosa indigna? A me l'indifferenza..

L'indifferenza con cui vengono dimenticate e calpestate le idee di quei due magistrati, non dalla politica, ma dalla classe media, intellettuale e borghese, che ormai convive e lucra con la mafia”.



Antonio Carollo



da "Lo Scrittoio" di www.trabiaonline.it

Thursday, May 24, 2007

23 MAGGIO, IL SACRIFICIO DI GIOVANNI FALCONE. "SI DEVE FARE DI PIU' CONTRO LA MAFIA"



Francesco Cipriano, studente di 19 anni, è il piccolo eroe della giornata del 23 maggio 2007 celebrata a Palermo da quindicimila giovani di tutta Italia in onore di Giovanni Falcone. Ha detto senza fronzoli ai vertici istituzionali, accorsi in pompa magna, che la politica deve fare molto di più. “Ogni 23 maggio - dice - voi politici venite qui e vi riempite la bocca di antimafia, ma in Parlamento ci sono 25 condannati in via definitiva , criminali che fanno le leggi”. Poi indicando lo striscione con i volti di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino aggiunge: “La vera antimafia l'hanno fatta loro con il sangue...”. Parole pesanti ed efficaci che meritano di essere ricordate. Il 'Professorino' Giuliano Amato non è che le ha gradite molto se dopo qualche minuto dà del 'piccolo capo populista' a Francesco. In poche battute, dette in un luogo fortemente simbolico, l'aula bunker dell'Ucciardone, un giovane intelligente e libero intellettualmente, ha saputo sintetizzare l'atteggiamento della politica di oggi nei confronti della mafia e, nel medesimo tempo, il sentimento di scetticismo della popolazione verso i politici.
Nulla da aggiungere. Solo un piccolo codicillo con riferimento a situazioni politico-amministrative concrete. Premetto che l'amministratore pubblico si esprime prevalentemente con il suo agire, non con le parole. Il giudizio su di lui è basato sui fatti. Forse, per il carattere degli italiani, un certo tasso di retorica è inevitabile, ma questo non arriva ad offuscare la limpidezza della valutazione. La gente si domanda drasticamente: “Che ha fatto?”. Nelle aree geografiche interessate dal fenomeno mafioso ci si pone questa domanda? Ne dubito. Mi sembra che proprio in queste due parole sia racchiusa la forza della mafia, lo stravolgimento di ogni corretto rapporto tra politici ed elettorato. Celebrare solennemente in consiglio comunale la figura di un eroe della lotta contro la mafia, a parte qualche eccesso di patetica retorica, è un fatto positivo. Fermarsi alle parole, senza minimamente scalfire una realtà fortemente compromessa, significa dare alle stesse l'amaro e beffardo sapore dell'ipocrisia e della pretesa fatalità. La coscienza civica cittadina può sopportare lo spettacolo al contempo di un consesso cittadino giustamente tutto in piedi per onorare un grande e la medesima aula vuota al momento delle decisioni per l'emancipazione e il progresso della popolazione, che Giovanni Falcone sognava per tutta la Sicilia?
Antonio Carollo

UNA VIA DI FUGA DALLE RESPONSABILITA'

Impotenza e disagio sono sentimenti che un amministratore distaccato, intelligente e lungimirante sicuramente prova, a mio avviso, in una situazione politico-amministrativa come quella di Trabia, nella quale gran parte degli spazi decisionali che riguardano il futuro, da qui a trent’anni, della comunità, sono sottratti al libero dispiegarsi del dibattito cittadino.

Che altra lettura può darsi a vicende amministrative che vedono sul filo del rasoio l’esistenza stessa di maggioranze consiliari al solo sentore di un cambiamento nel settore strategico dell’assetto del territorio. Abbiamo avuto quasi delle sollevazioni, veementi discussioni, ricorsi di singoli e di categorie, al profilarsi dell’adozione di un nuovo piano regolatore, con conseguenti paralisi di amministrazioni, peraltro benemerite per altri aspetti.

Si sono avuti girotondi di sindaci che animati dalle migliori intenzioni si sono trovati di fronte a muri invalicabili di interessi e metodi inamovibili. Trabia ha subito l’onta vergognosa di uno scioglimento del consiglio comunale per collegamenti con elementi della mafia. Di quel consiglio conosco diverse persone di specchiata moralità che hanno sofferto sulla propria pelle il disonore di un tale trattamento da parte degli organi preposti dello Stato.

Credo che molte cose in seguito si siano chiarite e in parte attenuate. Quel marchio d’infamia brucia ancora. Ho patito anch’io questa macchia nella storia del nostro paese. Non è piacevole sentirsi dire ironicamente da qualche amico di appartenere per nascita ad un certo tristemente famoso triangolo della criminalità organizzata. Trabia ha conosciuto lunghi periodi oscuri. Il tabù del piano regolatore ha funzionato benissimo per gli speculatori. La devastazione edilizia del territorio è proseguita alacremente in assenza di un piano che fosse degno di questo nome.

Proprio il provvedimento punitivo, anziché funzionare da deterrente contro la prepotenza affaristica, ha paralizzato ogni proposito di recupero di un minimo di dignità pianificatrice del territorio. Si è arrivati, qualche anno fa, alla felice invenzione di una pretesa impossibilità da parte del consiglio comunale, di occuparsi dell’argomento piano regolatore in quanto incompatibile.

Certo, tutti i consiglieri comunali saranno incompatibili fino a quando non ci sarà più un metro di terreno da edificare. A Trabia è raro che un cittadino non possieda un appezzamento di terreno. Pensiamo di affidare il nostro destino al gruzzolo di denaro ricavato dall’area prepotentemente edificabile? Questa cecità, questa assoluta incapacità di guardare oltre un palmo dal proprio naso è la ragione del disastro in cui è precipitato il paese di Trabia.
Antonio Carollo

Wednesday, May 16, 2007

IL TABU' DEL PIANO REGOLATORE


Amarezza, frustrazione, disagio. sono sentimenti che un amministratore distaccato, intelligente e lungimirante sicuramente prova, a mio avviso, in una situazione politico-amministrativa come quella di Trabia, nella quale gran parte degli spazi decisionali che riguardano il futuro, da qui a trent'anni, della comunità, sono sottratti al libero dispiegarsi del dibattito cittadino. Che altra lettura può darsi a vicende amministrative che vedono sul filo del rasoio l'esistenza stessa di maggioranze consiliari al solo sentore di un cambiamento nel settore strategico dell'assetto del territorio. Abbiamo avuto quasi delle sollevazioni, veementi discussioni, ricorsi di singoli e di categorie, al profilarsi dell'adozione di un nuovo piano regolatore, con conseguenti paralisi di amministrazioni, peraltro benemerite per altri aspetti. Si sono avuti girotondi di sindaci che animati dalle migliori intenzioni si sono trovati di fronte a muri invalicabili di interessi e metodi inamovibili. Trabia ha subito l'onta vergognosa di uno scioglimento del consiglio comunale per collegamenti con elementi della mafia. Di quel consiglio conosco diverse persone di specchiata moralità che hanno sofferto sulla propria pelle il disonore di un tale trattamento da parte degli organi preposti dello Stato. Credo che molte cose in seguito si siano chiarite e in parte attenuate. Quel marchio d'infamia brucia ancora. Ho patito anch'io questa macchia nella storia del nostro paese. Non è piacevole sentirsi dire ironicamente da qualche amico di appartenere per nascita ad un certo tristemente famoso triangolo della criminalità organizzata. Trabia ha conosciuto lunghi periodi oscuri. Il tabù del piano regolatore ha funzionato benissimo per gli speculatori. La devastazione edilizia del territorio è proseguita alacremente in assenza di un piano che fosse degno di questo nome. Proprio il provvedimento punitivo, anziché funzionare da deterrente contro la prepotenza affaristica, ha paralizzato ogni proposito di recupero di un minimo di dignità pianificatrice del territorio. Si è arrivati, qualche anno fa, alla felice invenzione di una pretesa impossibilità da parte del consiglio comunale, di occuparsi dell'argomento piano regolatore in quanto incompatibile. Certo, tutti i consiglieri comunali saranno incompatibili fino a quando non ci sarà più un metro di terreno da edificare. A Trabia è raro che un cittadino non possieda un appezzamento di terreno. Pensiamo di affidare il nostro destino al gruzzolo di denaro ricavato dall'area prepotentemente edificabile? Questa cecità, questa assoluta incapacità di guardare oltre un palmo dal proprio naso è la ragione del disastro in cui è precipitato il paese di Trabia.

Saturday, May 12, 2007

L'AMAREZZA DI NON RIUSCIRE A CAMBIARE LE COSE


Questo post è dedicato alla lettera indirizzatami dal sindaco Salvatore Piazza dal sito trabiaplanet.it.
Salvatore è molto gentile; lo ringrazio per gli apprezzamenti e la stima, che sinceramente ricambio. Qualche senso di colpa ce l'ho: ho lasciata Trabia a ventiquattro anni, subito dopo la laurea, per andarmi a guadagnare la vita altrove. Ho tentato diverse volte di ritornare ma non si sono realizzate mai le giuste condizioni per un mio rientro in Sicilia. Col passare degli anni, col crescere delle esigenze familiari, questa prospettiva si è allontanata viepiù. Però non ho mai tagliato i ponti con la mia piccola patria. I soggiorni e le visite sono stati sempre frequenti. I contatti con parenti e amici non l'ho mai tralasciati; tuttora vive a Trabia una parte della mia famiglia d'origine, mia sorella e i miei carissimi nipoti e bisnipoti con cui comunico continuamente, oltre a tanti altri consanguinei e a tanti cari amici. Sbaglia chi pensa che io non sia al corrente dei problemi di Trabia. Me ne sono sempre informato, fino a partecipare, quando possibile, alle sedute del consiglio comunale. Certo, non sarò al corrente degli affari minuti di ogni giorno; forse proprio per questo ritengo di avere una visione d'insieme molto nitida. Qualche volta ne ho parlato con lo stesso Salvatore lungo 'u stratuni, conoscendo la sua passione per le cose del nostro paese. La 'vera realtà' mi è ben nota, anche perché, come dice lui, Trabia conserva molti 'vizi' del passato. Aggiungo che il paese presenta un percorso piuttosto chiaro (qualcuno direbbe un'immobilità o un'involuzione), evidente anche per una frettolosa intelligenza. Chi ha letto gli articoli su Trabia apparsi su 'Lo Scrittoio' spero non disconosca il carattere pragmatico del loro approccio ai problemi. Nessuna teorizzazione o idealizzazione. D'altra parte il mio lavoro è stato tutta una collaborazione con organi istituzionali dediti a programmare e a fare. Molte volte, in materia di cultura, ho avuto responsabilità dirette, come si può cogliere dalla nota biobibliografica ( http://www.trabia.splinder.com/). Non sogno una Trabia ideale o utopistica ma un paese normale che piano piano vada prendendo consapevolezza della propria situazione di profondo sottosviluppo, ne ricerchi e ne individui le cause, e , sia pure tra lentezze, contrasti, crisi, resistenze, cerchi di tirarsi su dalle secche di una condizione economico-sociale disastrata. So bene che Trabia soffre di mali storici cronicizzati, come gran parte del Mezzogiorno; in aggiunta ha la terribile aggravante di essere stata essa stessa l'artefice diretta della distruzione della propria economia avendo sottratto alle produzioni, al lavoro e allo sviluppo turistico le terre più belle del Golfo Termini Imerese-Cefalù. Questi mali sono difficili (non impossibili) da estirpare; i trabiesi vivono come in un dormitorio, sono d'accordo, ignari dei propri diritti di cittadini, indifferenti alle ignominie del malaffare, alle feroci speculazioni edilizie, agli interessi personali perpetrati in dispregio di quelli generali della collettività. Comprendo l'amarezza di Salvatore. La frustrazione di non riuscire a cambiare le cose, il disagio di sperimentare situazioni paradossali, quale quella di una assise cittadina che, anziché cogliere l'occasione di mettere le mani su un piano regolatore probabilmente in linea ed erede di quello tristemente noto del 1979, abdica dal suo diritto-dovere di amministrare, dando uno spettacolo di inconscio ma ben orchestrato surrealismo. Si deve assistere in silenzio all'inaudito continuato scempio di un territorio e di uno dei più bei paesaggi siciliani, e, con esso, alla distruzione di buona parte delle residue risorse naturali indispensabili per un possibile futuro per Trabia? Io credo che Salvatore non voglia questo. Credo che vorrebbe essere sostenuto non da una voce isolata ma da un vasto movimento d'opinione, capace di dargli la forza necessaria per sciogliere l'intrico oscuro degli interessi particolari. Per un simile risveglio, non ho dubbi, egli sarebbe la persona giusta. Ma la realtà è quella che è. Non rimane che continuare a servire, con l'arma dell'umile parola, questa mia sfortunata patria.
Antonio Carollo
(6-continua)

Tuesday, May 01, 2007

VIVIBILITA', SICUREZZA, AMBIENTE, LE PAROLE CHIAVI PER LE PROSSIME AMMINISTRATIVE


Ho una certa allergia alle grandi opere. La mia esperienza in seno alle pubbliche amministrazioni locali (comuni e province) mi fa rizzare le antenne a sentirle menzionare. Per Viareggio questo non è il primo periodo storico che segna una pronunciata tendenza alla realizzazione di opere mastodontiche e miliardarie, sia pubbliche che private. Ce n’è stato un altro, qualche decennio fa, quando, addirittura, si favoleggiava di una grande darsena all’altezza del bagno Nettuno, di un aeroporto e d'altro. Poteri forti scatenati? Mah… Non nego: il tribunale, la Cittadella, i due cavalcaferrovia, l’asse di penetrazione, il teatro pucciniano, il palacongressi, sono opere indispensabili; certo, non è indispensabile offrire intere aree all’avida grande speculazione edilizia privata. Gli umori della città emergono giorno per giorno: la priorità assoluta viene data alla vivibilità, alla sicurezza, alla salvaguardia dell'ambiente architettonico della città e di quello naturalistico. Serve una tregua. Niente grandi strategie, grandi realizzazioni infrastrutturali, alienazioni del patrimonio comunale, appetitosi (per gli speculatori) insediamenti abitativi. Il regolamento urbanistico, che è all'attenzione della città, dovrebbe essere sottratto alle grandiosità avveniristiche degli architetti di oggi e pensato in un'ottica di maggiore attenzione per un uso degli spazi mirato al miglioramento delle condizioni di vivibilità del cittadino. Niente grandi e pomposi poli di sviluppo, niente porte nord, sud, est, ovest, e magari sud-ovest, niente sistemazione di grandi aree (vedi intorno alla Cittadella) che si risolvono in grandi speculazioni. A mio parere lo schieramento politico che s’impegnerà seriamente a togliere dai propri programmi per cinque anni le grandi realizzazioni, eccetto i parcheggi, già in ritardo di decenni, a dedicarsi all’igiene pubblica, alle manutenzioni dei manufatti pubblici, all’arredo urbano, alla cura della Passeggiata, del verde, delle spiagge, delle pinete, alla vivibilità, alla mobilità, alla sicurezza, ai servizi pubblici, e a scoraggiare, coi fatti, la grande speculazione edilizia, vincerà le elezioni.
Antonio Carollo